L’andamento demografico del nostro Paese, le incertezze economiche, le imprevedibili variabili congiunturali, da tempo hanno posto il problema della “sostenibilità” del sistema previdenziale nazionale. Al di là di calcoli o previsioni, da anni è ormai maturata la convinzione che i lavoratori (soprattutto giovani) debbano essere “saggi e accorti” nel garantirsi il futuro pensionistico, integrando le tradizionali forme di previdenza da lavoro dipendente o autonomo, con altre modalità personalizzate. Il tema della “previdenza complementare” o integrativa, quindi, oggi è quanto mai di attualità, anche se si tratta di una pratica ancora non molto frequentata. In proposito, nei giorni scorsi, l’economista Riccardo Realfonzo, presidente di Cometa, il più grande fondo pensione di categoria (metalmeccanici), ha rilasciato un’intervista al “Corriere della Sera”, pubblicata il 24 gennaio, nella quale fa il punto della situazione.
Presidente, è partito il confronto sulla riforma delle pensioni. Mi pare però si manifesti un paradosso. I sindacati chiedono di abbassare l’età pensionabile. Anche il programma elettorale del centrodestra lo prevede, ma il presidente dell’Inps, Pasquale Tridico, avverte che l’equilibrio del sistema è a rischio per il calo del rapporto tra attivi e pensionati. Come se ne esce?
“Aumentando i lavoratori attivi. – risponde Riccardo Realfonzo, presidente di Cometa il più grande fondo pensione di categoria (metalmeccanici) – In Italia il tasso di partecipazione al lavoro è tra i più bassi in Europa. Di questo passo arriveremo a un lavoratore per un pensionato e questo non è sostenibile. Bisogna allargare la base produttiva del Paese, minata da trent’anni di politiche di austerità”.
In questo quadro che ruolo può svolgere la previdenza integrativa?
“Un ruolo straordinario. Al momento la raccolta dei fondi supera i 200 miliardi di euro. Ma solo 4 sono investiti in obbligazioni e azioni di imprese del nostro Paese, perché i cda dei fondi inseguono le maggiori opportunità presenti all’estero. E così il nostro risparmio alimenta la crescita altrove. Per questo da tempo ho proposto di creare un meccanismo che incentivi gli investimenti dei fondi pensione nell’economia reale del Paese, mediante l’introduzione di una garanzia di rendimento, con una soglia sotto la quale interverrebbe lo Stato coprendo il differenziale. Tale soglia dovrebbe essere commisurata alla rivalutazione del Tfr nel lungo periodo. Le parti sociali nell’industria metalmeccanica chiedono a gran voce politiche industriali. Questo potrebbe essere uno degli strumenti per finanziarle”.
Nel 2022 il rendimento degli accantonamenti per la liquidazione, il Tfr appunto, è stato di circa il 10%, battendo i fondi pensione.
“L’anno scorso è stato disastroso per i mercati finanziari. Ma quello che interessa, come dicevo, è l’andamento di lungo periodo, dove i fondi si confermano convenienti”.
Finora i fondi pensione si sono diffusi soprattutto tra i lavoratori più garantiti, quelli che in teoria ne avrebbero meno bisogno. Come si fa a diffonderli tra gli altri, in particolare i giovani?
“Molto utile sarebbe la reintroduzione di un meccanismo silenzio assenso di sei mesi: se il lavoratore non sceglie tra Tfr e fondo pensione, viene automaticamente iscritto al fondo. Ma servirebbe anche ridurre la tassazione. Oggi i rendimenti annuali sono soggetti a un prelievo del 20%, ridotto al 12,5% per i titoli di Stato; poi scatta la tassazione sulle prestazioni. Si dovrebbe intervenire per ridurre il carico fiscale sui fondi a partire dalla detassazione dei rendimenti in fase di accumulo. Poi c’è un problema drammatico che riguarda i giovani che, a causa dei rapporti di lavoro precari, rischiano di avere pensioni da fame. Occorrerebbe riportare al centro il contratto a tempo indeterminato e in ogni caso introdurre una pensione di garanzia pubblica per evitare queste situazioni”.