03/02/2023
UN LAVORATORE SU 3 È GIÀ APPRODATO ALLA PREVIDENZA COMPLEMENTARE

Quando, tra il 1992 e il 1993, fu varata una prima disciplina complessiva del sistema di previdenza complementare, i soggetti aderenti erano non più del 3% dei lavoratori italiani. Sulla base di stime ancora preliminari, alla fine del 2021, il totale degli iscritti alla previdenza complementare ha raggiunto circa 8,8 milioni, dunque il 33% dei lavoratori. In pratica, 1 lavoratore su 3 è iscritto a un fondo pensione. Questi i dati forniti (5 maggio 2022) dalla COVIP (Commissione di Vigilanza sui Fondi Pensione), in merito alla situazione italiana riguardo alla previdenza complementare.

La pandemia non sembra aver intaccato questo trend di crescita, se non temporaneamente con un rallentamento delle nuove adesioni e dei flussi contributivi nei mesi centrali del 2020, all’apice quindi delle restrizioni legate all’emergenza sanitaria, ma successivamente il sistema ha riguadagnato le tendenze registrate prima della pandemia.

Se poi si considerano le posizioni in essere, dunque calcolando anche quelle che possono essere in capo al medesimo soggetto, si raggiunge quota 9,7 milioni, così suddivise:

  • fondi pensione negoziali, circa 3,5 milioni;
  • fondi aperti, 1,7 milioni;
  • PIP (Piani Individuali Pensionistici), 3,6 milioni;
  • fondi preesistenti la prima disciplina complessiva del sistema di previdenza complementare, circa 650mila;

Risorse accumulate e allocazione degli investimenti

Sulla base di stime preliminari, alla fine del 2021 le risorse accumulate dalle forme pensionistiche complementari hanno superato i 210 miliardi di euro, pari a circa il 12% del PIL e il 4% delle attività finanziarie delle famiglie italiane. Se guardiamo ai dati consolidati del 2020, gli investimenti dei fondi pensione erano allocati per il 56,1% in obbligazioni e altri titoli di debito, di cui il 17,5% titoli di Stato italiani.

Il 19,6% degli investimenti consisteva in azioni, mentre le quote di OICVM (organismi d'investimento collettivo in valori mobiliari) erano pari all’11,9%. I depositi si attestavano al 7,5%. Gli investimenti immobiliari, in forma diretta e indiretta, presenti quasi esclusivamente nei fondi preesistenti, costituivano il 2% del patrimonio.

Nell’insieme, il valore degli investimenti dei fondi pensione nell’economia italiana (titoli emessi da soggetti residenti in Italia e immobili) era di 38,6 miliardi di euro, il 23,8% del patrimonio.

I titoli di Stato ne rappresentavano la quota maggiore, 28,4 miliardi di euro.

Rendimenti e costi

Negli ultimi anni l’andamento dei mercati finanziari - volatile ma prevalentemente positivo - ha prodotto risultati soddisfacenti per i rendimenti dei fondi pensione.

Su un periodo di osservazione decennale (2012-2021), il rendimento netto medio annuo composto, al netto dei costi di gestione e della imposte, è stato del:

  • 4,1% per i fondi negoziali;
  • 4,6% per i fondi aperti;
  • dal 2,2 al 5% per i PIP.

Analizzando il medesimo decennio, la rivalutazione annua composta del TFR lasciato in azienda è stata dell’1,9%.

Chi sono gli aderenti alla previdenza complementare?

I dati sulle adesioni alla previdenza complementare mostrano situazioni differenziate per territorio, genere ed età. Innanzitutto, degli 8,8 milioni di lavoratori iscritti alla fine del 2021, coloro che non hanno effettuato versamenti contributivi sono 2,2 milioni; di costoro, un milione non versa contributi da almeno cinque anni.

Se andiamo ad analizzare la situazione di chi versa regolarmente i contributi, utilizzando anche stavolta i dati consolidati del 2020, rileviamo che i contributi annui per singolo iscritto ammontano mediamente a 2.740 euro. I tassi di partecipazione più elevati si registrano nelle aree più ricche del Paese (Nord e Centro Italia): in media tra il 35 e il 40% delle forze di lavoro, con punte del 45-50% laddove l’offerta previdenziale è integrata da iniziative territoriali. In queste aree i versamenti contributivi sono in molti casi anche doppi rispetto a gran parte delle regioni del Mezzogiorno.

Rispetto alle forze di lavoro per fasce di età, la partecipazione alla previdenza complementare dei soggetti under 35 è pari al 22,7%, inferiore di circa un terzo a quella delle fasce di età centrali (35-54 anni); la contribuzione è di due terzi inferiore.

Per genere, il tasso di partecipazione delle donne, pari al 29,7%, è inferiore a quello degli uomini, che si attesta al 35,5%; come nel caso dei giovani, anche la contribuzione rimane di un quinto inferiore.

In linea generale, nelle situazioni in cui maggiore sarebbe l’esigenza di integrare la pensione pubblica con quella complementare, il grado di partecipazione è quindi più basso e correlato al tasso di partecipazione al mercato del lavoro, soprattutto in merito alle differenze di genere.

Le differenze tra classi di età nella partecipazione alla previdenza complementare sono invece principalmente attribuibili proprio alla loro diversa propensione a tale partecipazione una volta che si considerino solo le forze di lavoro.

In sostanza, i giovani pensano troppo poco alla previdenza, immaginandola come una questione distante nel tempo e dunque sprecando parte dei vantaggi riservati a chi ha un ampio orizzonte temporale a propria disposizione.

Riepilogando, le adesioni risultano diffuse soprattutto nelle fasce di lavoratori complessivamente “più forti”: di grandi imprese, residenti al Nord o al Centro, più spesso di sesso maschile e di età non giovane.

Per contro, le fasce più deboli di lavoratori, in linea di principio più bisognose di una integrazione delle prestazioni pensionistiche pubbliche, restano ancora per lo più escluse dalla partecipazione alla previdenza complementare.