Il localismo, il legame con il territorio, nonostante la globalizzazione ormai consolidata, continua a essere un punto forte e qualificante della nostra vita. Certo, la dinamicità sociale negli ultimi anni si è rinvigorita: viaggiamo di più, comunichiamo senza barriere, lavoriamo magari oltre i tradizionali confini geografici. Ma, alla fine, il territorio in cui siamo inseriti resta ancora un metro decisivo nel valutare la nostra qualità di vita.
“Radicamento… accompagnamento… ascolto… valorizzazione… fedeltà…”, la lista potrebbe essere lunga, ricca di vocaboli più o meno evocativi; uno soltanto invece il punto di riferimento, il terminale che rende compiuta la frase: territorio. Una parola che qualche anno or sono in molti avrebbero giurato destinata al dimenticatoio, se non addirittura alla scomparsa.
In effetti sembravano esserci tutte le premesse per un intramontabile declino: l’avvento della globalizzazione, un pianeta sempre più connesso, sia sul versante delle comunicazioni, degli scambi, delle intersezioni, non soltanto commerciali, che su quello comunicativo in cui la rete digitale aveva abbattuto barriere e diaframmi. “Siamo cittadini del mondo”, sostenevano con una vena di perentoria presunzione quanti ormai rinnegavano storiche appartenenze dinastiche o geografiche, in nome del superamento di barriere ritenute troppo ristrette. Si pensava anche che questo cosmopolismo delle identità avrebbe fatto bene al mondo e alla sua pace. “In fondo – si diceva – al di là di qualche litigio da condomino, è meno probabile che si litighi tra gente che si riconosce appartenente allo stesso paese, anche se questo è grande e complicato come la terra…”.
Le cose non sono andate proprio così (lo stiamo sperimentando nelle tragiche vicende che ci coinvolgono da almeno un anno), soprattutto il territorio continua a essere più vivo che mai, anzi in auge, arzillo, ricorrente nei discorsi di quanti si occupano di temi sociali e politici.
Certo, molto è cambiato. Un tempo, quando si parlava di territorio il riferimento domestico era obbligato. “La terra degli avi”, si diceva, là dove erano cresciute famiglie, affetti, generazioni; il luogo di una comunità, forse paesana, parrocchiale, di quartiere, perfino di un ristretto rione o di una via.
Adesso non è più così, perché sempre più persone cambiano residenza, si spostano, si affidano ad altri contesti, per lavoro, amore, semplice passione. La rete digitale continua a spalancarci al mondo, operazione sempre più agevole, anche nel salotto di casa. Siamo continuamente a contatto con uomini e donne stranieri, “foresti” diremmo in Veneto, ma questo (al di là di qualche intramontabile rifiuto) non ci sorprende, né ci scandalizza. Neppure quando assistiamo a episodi curiosi, come quello ormai consueto nelle palestre italiane di pallavolo, dove gli allenatori, anche se coach di una squadra di una cittadina veneta (peraltro giunta ai vertici mondiali), parlano alle loro atlete in inglese….
Eppure, il territorio insiste a essere un punto di riferimento, un termine praticato e di valenza, non soltanto semantica; anzi, in taluni segmenti del nostro convivere, come ad esempio quello enogastronomico, il “chilometro zero” è un valore aggiunto, all’insegna della qualità.
Quindi, “viva il territorio”. Perché? Senza banalizzare, si potrebbe sostenere che, nonostante straordinarie connessioni e aperture globali, alla fine proprio il territorio è il luogo privilegiato (l’unico?) in cui possiamo vivere un’esperienza totalizzante, come la socialità piena e compiuta. Perché alla fine abbiamo bisogno di stare bene dove siamo, perché la residenza non è solo una dato anagrafico da indicare nei documenti, per il virtuale alla fine non ci basta.
Il territorio, insomma, è ancora l’autentico spazio di vita, degli affetti, delle gioie e dei tormenti del nostro esistere. Anche degli affari, sebbene la ditta in cui lavoriamo o che ci appartiene, commerci più con la Cina che con la Lombardia.
In sintesi, il metro di misura della qualità esistenziale è quello che ci accompagna nelle ore e nei minuti delle nostre giornate, sotto lo sguardo vigile ma bonario del vecchio territorio.