Le Banche di Credito Cooperativo sono per definizione “locali”. Un’affermazione che, nel tempo, si è molto evoluta (non poteva essere diversamente), visti gli straordinari e vorticosi cambiamenti che si sono susseguiti nei decenni. Nessuno oggi può pensare che questi istituti di credito possano ancora avere la stessa configurazione e la consistenza delle antenate, delle gloriose Casse Rurali; ma questo non impedisce di mantenere intatto l’aggettivo “locale”: basta soltanto aggiornare il termine, senza tuttavia intaccare i valori e le caratteristiche dell’originaria definizione.
Quando nacquero, più di un secolo or sono, quelle che allora furono chiamate Casse Rurali oppure di Prestito (con altre varianti più o meno casalinghe), avevano una dimensione anche geografica molto ristretta. Sorsero per iniziativa di qualche prete, di taluni borghesi illuminati e di rappresentanti di categorie economiche e sociali già consolidate, come quelle del mondo agrario, o emergenti, quali piccoli imprenditori e commercianti. Il raggio d’azione delle Casse era molto limitato, il più delle volte non andava oltre i confini paesani, se non addirittura parrocchiali, così come gli obiettivi erano parziali e contenuti, come agevolare il credito in termini mutualistici e soprattutto combattere la piaga dell’usura.
È stato così per lungo tempo, poi anche le Casse Rurali hanno cominciato a cambiare, a crescere, ad allargarsi, a dilatare la categoria del “locale”, che via via ha assunto i contorni di ampie fette dei bacini provinciali se non addirittura regionali.
I mutamenti, la crescita, non hanno cambiato soltanto le banche (diventate poi di Credito Cooperativo), ma il concetto stesso di “locale”, che un po’ alla volta (anzi, forse rapidamente, almeno negli ultimi anni) si è allargato. Ma allora, ha ancora senso parlare di banca locale? Quelli del Credito Cooperativo in proposito non hanno dubbi; perché il localismo del loro fare impegno non è semplicemente una questione geografica, di competenze e interessi, ma in maniera più radicale una modalità di approccio e gestione del tema del risparmio, della gestione dei patrimoni, degli investimenti.
Detto in maniera un po’ semplicistica, ma non per questo errata, si potrebbe affermare che il localismo delle BCC sta nel fatto che sono inserite nel “circuito vizioso del ciclo del denaro”, che consiste nel fatto che le BCC raccolgono e investono nello stesso territorio. Insomma, chi affida i propri quattrini alle ex Casse Rurali può avere la certezza che tali risorse finiranno per agevole e migliorare la qualità di vita di famiglie e imprese del territorio in cui la Banca stessa e presente e opera.
Si chiama “zona di competenza territoriale” e caratterizza ogni BCC, che come tale è autorizzata o operare nei Comuni nei quali la Banca ha la propria sede ed i propri sportelli. Non si tratta di una mera classificazione geografica, ma di una specificità che definisce legami molto stretti e profondi tra la BCC e le famiglie e le imprese del posto.
Insomma le BCC sono banche del territorio (i soci sono espressione del contesto in cui l’azienda opera); per il territorio (il risparmio raccolto in un territorio viene reinvestito in quello stesso territorio); nel territorio (appartengono al contesto locale al quale sono legate da un rapporto di reciprocità). In queste tre (perentorie) affermazioni vi è tutto il localismo del Credito Cooperativo, naturalmente riveduto (ma non molto corretto) rispetto a una storia secolare, ma intatto nell’adesione ai principi fondanti di oltre un secolo or sono.