18/05/2023
NON È TUTTO ORO QUELLO CHE LUCCICA

Momento complicato per gli investitori, soprattutto per le tendenze e le tentazioni che parrebbero spingere e cercare prima di tutto certezze e approdi a basso rischio. Ma “alcune evidenze dei fatti - spiega Luca Ricchieri, Vice Direttore Generale e Direttore Centrale Finanza di BCC Patavina (nella foto) - ci inducono a concludere che i titoli di Stato non sono il porto sicuro che tiene al riparo dalla tempesta dei tassi in continuo rialzo, a meno che non si scelgano durate estremamente brevi come i 12 mesi; non è quindi tutto oro quello che luccica, mostrando tassi appetibili. Al di fuori di questa semplice opzione è obbligatorio agire con prudenza utilizzando un approccio attivo all’investimento”.

Il dibattito in corso tra gli economisti si concentra sulla probabilità di una recessione indotta dai violenti rialzi dei tassi di interesse praticati dalle principali banche centrali occidentali e sulla possibilità che tale recessione induca ad una politica monetaria immediatamente più accomodante (leggasi: ribasso dei tassi). Di fatto, oggi, dopo l’ennesimo rialzo da parte di FED e BCE (+25 bp), si sta configurando un pericoloso braccio di ferro tra i mercati che credono in un soft landing (“atterraggio morbido”) dell’economia da ogni lato dell’Atlantico e l’ostinata e irriducibile volontà delle autorità monetarie di combattere l’inflazione di qualsiasi tipo con il solo rialzo dei tassi di interesse, allo scopo di provocare un drastico calo della domanda aggregata.

La via perseguita dalle autorità monetarie trova plastica manifestazione nella forma delle curve dei tassi che, sia per la zona euro, che per gli USA, sono estremamente ripide nel tratto a breve termine, per poi digradare sul medio e lungo termine; in sostanza la forma della curva dei tassi ci dice che tutti credono che la politica di rialzo sia solo di breve durata e che la prevista recessione porterà a un ritorno verso l’eden dei tassi molto bassi.

Onestamente la situazione è piuttosto confusa e qualsiasi previsione ha la medesima probabilità di essere giusta o errata. Dobbiamo quindi attenerci ai fatti, se vogliamo impostare utili politiche di gestione dei portafogli, e considerare attentamente alcuni elementi.

Il primo: probabilmente è vero che siamo prossimi alla fine del ciclo dei rialzi dei tassi e che le banche centrali temono che tali rialzi, uniti alla drastica riduzione del credito all’economia praticato (per motivi diversi) dalle banche USA e UE, possa indurre ad un significativo e indesiderato rallentamento.

Il secondo elemento riguarda i tassi attuali che appaiono elevati solo a coloro che si sono formati professionalmente negli ultimi 12 anni; in realtà tassi simili agli attuali, sia in USA che in Europa, sono stati per lungo tempo la normalità, essendo stati abbinati a una inflazione inesistente od oscillante tra il 2% ed il 3%. È quindi probabile che i tassi, pur scendendo, non siano destinati a clamorose retromarce nel prossimo futuro, specie se, come appare, l’inflazione sarà resistente e duratura (in particolare nella componente core).

Il terzo elemento si riferisce ai price earnings (il rapporto tra prezzo e utile) delle azioni che sono attualmente a livelli elevati, riflettendo una visione ottimistica del futuro ma, come detto in premessa, risentono di una aspettativa sugli utili futuri che potrebbe non essere realistica; il potenziale di ribasso dei mercati azionari è comunque limitato dal supporto che potrà essere fornito da una certa riduzione dei tassi praticata dalle banche centrali.

Che fare dunque in un contesto così difficile da interpretare?

La risposta all’incertezza che stanno manifestando gli investitori in questo momento è il ritorno all’acquisto del titolo di Stato, nella convinzione che comunque il rendimento offerto in queste settimane sia di soddisfazione e migliore di qualsiasi strategia di risparmio gestito. Questo atteggiamento fideistico nelle virtù taumaturgiche del titolo di Stato è tuttavia estremamente rischioso per le finanze dei privati giacché, nell’annoso conflitto tra convinzioni dei mercati e atteggiamento delle banche centrali, queste ultime hanno “il coltello dalla parte del manico”, potendo decidere le proprie politiche in assoluta autonomia e indifferenza verso le performance dei titoli azionari e obbligazionari. Tradotto in altri termini, puntare su un unico cavallo (il BTP) trascurando concetti basilari come la diversificazione del portafoglio e le correlazioni tra bond ed azioni, espone a rischi idiosincratici e a una volatilità sui singoli BTP, che forme di investimento più meditate possono limitare o addirittura escludere; è inoltre di tutta evidenza che quanto più si allunga la duration dei titoli di Stato (invogliati da tassi crescenti), tanto più ci si carica di rischi di perdite indefiniti.

L’evidenza empirica ci porta dunque a dire che il BTP non sono il porto sicuro che tiene al riparo dalla tempesta dei tassi di interesse in continuo rialzo, a meno che non si scelgano durate estremamente brevi come i 12 mesi; non è quindi “tutto oro quello che luccica” mostrando tassi appetibili. Al di fuori di questa semplice opzione è obbligatorio agire con prudenza utilizzando un approccio attivo all’investimento. Ciò potrebbe essere garantito dalla gestione GP Attiva Breve Termine che abbina ad una duration contenuta (circa 1,5 anni) una gestione attiva su BTP che si incarica di gestire il roll out delle scadenze e di seguire professionalmente la evoluzione dei mercati alla luce delle politiche monetarie di BCE; a ciò va aggiunta la efficienza fiscale derivante dalla compensazione di plus e minus.