30/05/2023
TEMPI DIFFICILI PER IL VOLONTARIATO

Secondo i dati raccolti dall’Istat, nel volgere di sei anni, dal 2015 al ’21, il numero dei volontari “inquadrati” in enti e associazione, in Italia, è diminuito di circa un milione (15,7%). La ricerca delle cause non è semplice, di certo in questo fenomeno ha influito la crisi economica, che ha focalizzato l’attenzione più sul lavoro che sulle attività collaterali. Poi c’è stata la pandemia. Ma forse persistono anche problemi di conciliazione tra tempo libero e impegni professionali.

L’analisi in un articolo di Giulio Sensi, nel Corriere della sera (23 maggio 2023).

«L’allarme serpeggiava già in un Terzo settore sempre più in difficoltà a trovare nuovi volontari e a trattenere quelli arruolati. Ma ora ha un numero e una percentuale: quasi un milione di volontari sono fuoriusciti dalle organizzazioni non profit, una perdita del 15,7%. Il dato è diffuso dall’Istat che lo scorso anno ha svolto una nuova rilevazione sul settore che ha coinvolto un campione molto ampio, circa 110.000 realtà sulle oltre 363.000 attive.

Fra i tanti quesiti posti c’era anche il numero dei volontari attivi in ciascun ente. Dal 2015 al 2021 il numero delle persone che offrono gratuitamente il loro tempo e le loro capacità alle varie realtà non profit è passato da 5,52 a 4,66 milioni. Il colpo di grazia è arrivato dal Covid, ma il trend era già preoccupante e il crollo viene da lontano.

“La pandemia ha sicuramente influito molto - spiega Sabrina Stoppiello della Direzione centrale per le statistiche economiche di Istat - e questo si nota già dal fatto che sono diminuite nel 2021 le organizzazioni che operano con i volontari”.

Piccole realtà

Nel 2015, l’80% delle organizzazioni, secondo i dati Istat, poteva contare su volontari, numero che è sceso al 72% nel 2021. “I dati - aggiunge Stoppiello - dovranno essere approfonditi e incrociati, ma la sensazione è che siamo di fronte ad un progressivo ridimensionamento del settore con una prevalenza di piccole realtà rispetto alle più grandi e strutturate. Sul totale delle organizzazioni con volontari pesano di più quelle di dimensioni molto piccole, 1-2 volontari. Le più grandi ne avevano in media 131 e nel 2021 sono passate a 111”.

Secondo i dati Istat, i settori che rispetto al 2015 hanno una quota più alta di volontari sono la sanità, la religione e la filantropia e promozione del volontariato. L’ambiente è uno tra i settori più vivaci in termini di partecipazione. Ad attenuare il trend negativo è la presenza femminile: il calo dei volontari uomini è stato infatti del 17,6% a fronte di un 13% di donne. Quella maschile rimane la quota più alta, il 57,5%, ma diminuita rispetto al 58,9% di sei anni fa.

Il numero dei volontari è solo uno dei molti aspetti indagati dall’Istat su un settore che, come ha sottolineato l’istituto di statistica, è sempre più importante per la tenuta sociale del Paese, che continua a crescere - lo 0,2% in termini di nuove realtà tra il 2019 e il 2020 - ed ha un 1% costante annuo di occupati in più. C’è il sospetto, guardando invece alla crescita dei dipendenti, che la sempre più forte specializzazione e produzione di servizi e attività stia dando un passo che i volontari faticano a tenere.

“Sospetto fondato - sottolinea il sociologo dell’Università di Pisa Andrea Salvini -, perché in molte organizzazioni che gestiscono servizi importanti bisogna rispondere con standard fissati dalle istituzioni pubbliche e non tutte le persone hanno tempo e disponibilità per farsi centinaia di ore di formazione per montare, ad esempio, su un’ambulanza o per svolgere altre mansioni. Questo tipo di volontariato per servizi strutturati in partnership con il pubblico è selettivo. Non a caso a una diminuzione dei volontari corrisponde una crescita dei dipendenti. E aumentano anche i cittadini che preferiscono un impegno più individuale ed episodico. Una ricerca che abbiamo svolto in Toscana con Cesvot ci dice che sono il 40% di quelli disposti a fare volontariato e sta crescendo ancora”.

La conciliazione

Diverse altre indagini sociologiche da tempo studiano questi fenomeni. Si parla di disintermediazione: per lavoro o motivi familiari le persone non riescono più a conciliare i loro tempi di vita con le esigenze delle associazioni e preferiscono forme meno vincolanti.

“Dobbiamo tenere a riferimento due dimensioni per capire cosa sta succedendo. - spiega Sebastiano Citroni, professore di sociologia all’Università dell’Insubria - La disintermediazione, accelerata dalla pandemia, si riferisce al minor peso del legame tra individuo e organizzazione e non riguarda solo l’impegno civico e sociale, ma anche tanti altri ambiti. C’è una sorta di insofferenza verso l’appartenenza organizzativa. Poi c’è la demografia che certo non aiuta. L’invecchiamento della popolazione e l’aumento delle diseguaglianze, con l’erosione del ceto medio, tolgono energie al volontariato. Poi ci sono fattori interni al Terzo settore: una crisi di senso che si concretizza con la difficoltà delle persone a capire dove stanno andando queste organizzazioni, che non sono più capaci di trasmetterlo ai volontari. La tendenza è quella invece di ripiegare su forme di partecipazione che non passano dall’appartenenza organizzativa, modalità di più breve termine e informali, con coinvolgimenti occasionali. Una ridefinizione che non mette la parola fine al volontariato, ma ne cambia la forma”.